
«Ci
arrampicammo su per la ripida strada tra le case di tufo vulcanico
giallo ora nero [...] In fondo ai vicoli bui potemmo vedere le tetre
profondità delle cavità, scavate nella roccia viva.
Nei bassi gli abitanti di questa città diruta faticavano
in silenzio, e fuori dalle porte gufi incappucciati erano appollaiati
su pertiche infisse nel terreno duro»
Ole
Potter. A little pilgrimage in Italy
Sebbene i toni del girone dantesco descritto dalla schifignosa viaggiatrice
inglese ci sembrino esagerati, è pur vero che la Cava è
stata la zona di Orvieto in cui il Medio Evo è finito più
tardi di tutte le altre, dove il selciato ha sostituito i gradoni
in terra battuta solo per permettere il passaggio delle automobili.
E dove anche le grotte (ora cantine, magazzini, negozi o luoghi
da visitare) erano abitate o adibite a malsani laboratori artigiani
o ancora a stalle per gli asini dei viaggiatori provenienti da fuori
città.
Ma la Cava, luogo di contraddizioni inquietanti, era, fino agli
anni '60, anche il rione preferito per rifocillarsi e per stare
in compagnia, nelle numerose osterie e nelle bettole improvvisate.
Ed era anche la custode silenziosa di un piccolo capolavoro barocco,
la
Chiesa della Madonna della Cava,
i cui finti marmi e i cui argenti stridevano spesso con la miseria
vera di molti Cavajoli.